
Titolo: L’anno che a Roma fu due volte Natale
Autore: Roberto Venturini
Casa Editrice: SEM
Genere: Narrativa contemporanea
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 192
Roberto Venturini è nato nel 1983 a Roma. È autore, soggettista e sceneggiatore della pluripremiata serie web che ha ispirato il suo fortunato esordio letterario: Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera (SEM, 2017), vincitore del Premio Bagutta Opera Prima.
Trama:
Villaggio Tognazzi, Torvaianica, sul litorale romano. Alfreda, un’accumulatrice seriale con i primi segni di demenza senile, ha reso il suo villino un tugurio invivibile, dove vive per inerzia tra insetti e cianfrusaglie. Sopra di lei abita il figlio Marco, un giovane fattone, profondamente insicuro, la cui unica occupazione è accudire la madre. Lo spettro di un’azione da parte dell’Ufficio d’igiene rende necessario svuotare in fretta la casa, pena lo sfratto. Alcuni sgangherati amici, assidui frequentatori del bar Vanda, si attivano per sgomberarla, ma la proprietaria si oppone. Da qualche tempo Alfreda soffre di disturbi del sonno durante i quali le appare Sandra Mondaini, che ha conosciuto ai tempi d’oro del Villaggio Tognazzi, quando era il ritrovo estivo del jet set culturale italiano. Alfreda, nei suoi deliri notturni, immagina di parlare con l’attrice, sofferente per la “separazione” dal marito Raimondo Vianello, che riposa a Roma mentre lei è sepolta a Milano. Anche Alfreda non si è mai ricongiunta al marito, scomparso in mare durante una pesca notturna e mai più ritrovato. Alfreda decide di mettere fine a quella “ingiustizia” e pone al figlio una condizione per lo sgombero del villino: trafugare la salma di Raimondo dal Verano e portarla al cimitero di Lambrate, da Sandra. Dopo le prime resistenze, Marco getta le basi del piano, aiutato da Carlo, un vecchio pescatore, e da Er Donna, il travestito più ambito della Pontina.
Citazioni:
“Erano soltanto cose, ma era tutto quello che le rimaneva della vita prima dell’abbandono”.
“A forza di farsi scivolare le cose addosso, ad Alfreda si era impermeabilizzata l’anima. Però quella notte dell’anno in cui a Roma fu due volte Natale le formicolarono le emozioni, allora infilò una mano in un guanto irrigidito dal tempo e prese un paio di ciocchi di legno, li gettò sul braciere arrugginito che teneva in veranda e accese il fuoco. “
“La sua vita era stata tutta così: piena di buchi che offendevano la bellezza di quello che era stato“
Opinione:
Roberto Venturini, classe 1983, ha esordito nel 2017 con Tutte le ragazze di una certa cultura hanno almeno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera, vincitore del Premio Bagutta Opera Prima, nonché soggetto della premiata serie web omonima, visibile su YouTube. Nel suo nuovo romanzo, L’anno che a Roma fu due volte Natale, edito SEM ed ex candidato al premio Strega, c’è il gusto per il revival e la citazione, il vernacolo e le situazioni grottesche, che permettono all’autore di affinare il proprio stile, regalando un’opera peculiare con un intreccio unico nel suo genere.
La nuova fatica letteraria di Venturini è ambientata al Villaggio Tognazzi, una zona di Torvaianica non lontana da Roma che si trova sul mare, e che deve il proprio nome ad Ugo Tognazzi, per l’appunto, che durante gli anni ’60 comprò casa e, sempre in quelle zone, fece gravitare una serie di personaggi illustri non solo del cinema e della tv come i coniugi Vianello, ma persino della musica, come Pavarotti e della letteratura, fra i quali Pasolini, consacrando quegli anni di lucentezza con un torneo di tennis, lo Scolapasta d’oro, a cui ogni anno partecipavano vip e che ebbe successo mediatico a livello nazionale.

Nel racconto di Venturini, però, lo splendore degli anni d’oro del Villaggio Tognazzi rivive solo attraverso i ricordi e i flashback dei personaggi. La realtà quotidiana, in quel luogo ormai dimenticato da Dio, è molto differente. I fasti dell’epoca hanno lasciato un amaro ricordo. I locali sono abbandonati e i residenti, passata l’euforia e le opportunità dell’epoca, vivono una quotidianità ai margini della società. Lo sanno bene Alfreda e suo figlio Marco che abitano in un villino a due piani non troppo distante dal mare.
La protagonista femminile de “L’anno che a Roma fu due volte Natale”, Alfreda, viene presentata ai lettori come un’accumulatrice seriale, obesa e diabetica che trascorre le proprie giornate all’insegna del rimpianto dei tempi andati, davanti alla tv.
Suo figlio Marco è stato il piccolo protagonista della famosa pubblicità del dado Knorr, ma la notorietà è sparita in fretta, lasciandogli in dono solo un carico di insicurezze che nel corso degli anni sfoceranno in autolesionismo e dipendenza da alcol e droghe. Il padre è scomparso in mare durante una battuta di pesca tra amici e la sua assenza pesa come un macigno tra le mura domestiche.
Alfreda non esce mai di casa, ancora dilaniata dall’assurda perdita dell’amatissimo marito, che non le offre alcuna possibilità di riscatto da quella vita che non sente più propria. Suo figlio Marco, invece, esce eccome: a volte per vedere la ragazza che frequenta, altre per andare al bar del paese e per tentare di sfuggire almeno per qualche ora a quella vita tremendamente triste in cui è intrappolato, che continua a scorrere mentre lui e la madre lasciano che questa realtà infame scivoli loro addosso, senza vivere, vivere davvero.
Alfreda e il figlio sono intrappolati in un’esistenza difficilmente sostenibile: accumulatrice seriale lei, inetto senza prospettive di futuro lui. L’unica via di fuga da una realtà che non offre stimoli è data, per Alfreda, dalla creazione di una realtà onirica tutta propria, fatta di ricordi e allucinazioni in cui vede Sandra Mondaini e altri personaggi che ha conosciuto nel passato. Marco, invece, per sfuggire alla propria infelicità, si dedica qualche birra di tanto in tanto, qualche cannetta e un po’ di sesso nell’abitacolo stretto di una Panda maleodorante.

L’unica possibilità di riscatto viene offerta proprio dalla realtà onirica in cui Alfreda ha scelto di rifugiarsi. Mentre i due sono alle prese con un avviso di sgombero, poiché l’appartamento versa in condizioni pietose, e Marco tenta invano di convincere la madre a sbarazzarsi della roba inutile che ha accumulato negli anni, Alfreda riceve in sogno la visita di Sandra Mondaini che le chiede di aiutarla a ricongiungersi con la salma del marito così da poter finalmente riposare insieme.
I due, infatti, sono stati sepolti in cimiteri diversi. Raimondo riposa a Roma mentre Sandra è seppellita a Milano. Alfreda, che ha perso il marito in mare e non ha mai potuto dargli una degna sepoltura, rimane tanto colpita da questa richiesta da chiedere a Marco di esaudire il desiderio dell’amica defunta. In cambio, promette di dare il via libera alle operazioni di pulizia in casa.
Il ricongiungimento delle salme dei Vianello, impresa folle quanto macabra, assume per i protagonisti un significato quasi salvifico. Per Alfreda, è un modo per reiterare in eterno il rapporto d’amore con il marito, interrotto bruscamente e incompiuto. Per Marco, una missione da compiere per uscire dall’inerzia quotidiana.
La richiesta di Alfreda sarà l’inizio di una serie di disavventure tragicomiche. Parte così una commedia che si tinge talvolta di surreale e di umorismo nero, perché la “missione” è assurda fin dalle sue premesse. A fare da contraltare troviamo la nostalgia per il passato, simboleggiato dalle estati passate dalla famiglia di Marco nel Villaggio Tognazzi insieme ai personaggi dello spettacolo, tra ricordi familiari e piccoli aneddoti di un mondo che non potrà tornare.
Se ogni libro avesse un sapore, quello de L’anno che a Roma fu due volte Natale avrebbe il sapore del rimpianto, del passato, di una vita vissuta a metà, rimasta ferma nel limbo tra vita e morte a seguito di un lutto che cambia, trasforma ma, soprattutto, rivela.

I personaggi delineati nel romanzo sono a tratti bizzarri e, allo stesso tempo, incredibilmente reali, nonché simbolo del vivere lento e senza meta delle periferie metropolitane. Ciascuno di loro, a modo suo, è ancorato ad un passato irrecuperabile e incapace di proiettarsi nel futuro. L’emblema di tale condizione è Alfreda, donna un tempo bella ma abbruttita dagli anni, che vive circondata di ricordi, nel senso letterale del termine. La sua villetta è invasa da oggetti della sua vita passata, dalla gelatiera Simac ai pacchiani soprammobili regalati dal defunto marito Mario. Una condizione che è però anche, e soprattutto, mentale. Alfreda ne è l’emblema ma non l’unica ad esserne vittima, insieme a lei in questo girone dantesco troviamo suo figlio Marco che vive stancamente all’ombra del ricordo della notorietà data dallo spot della Knorr, Er Donna che pensa e ripensa al suo amore perduto e persino Carlo che non riesce a scrollarsi di dosso la malinconia e i sensi di colpa.
Possiamo quindi affermare che le pagine dell’ultima fatica letteraria di Venturini trasudano di nostalgia, che si ritrova dappertutto: persino nelle piccole intrusioni piacevoli che Venturini fa materializzare nei ricordi di motti o sigle pubblicitarie degli anni ’90, in scene e sketch televisivi che solo la mente di un bambino dell’epoca può ricordare. E Venturini, in questo, risulta estremamente abile, proponendo una tecnica narrativa che sembra proprio emulare certi meccanismi improvvisi della memoria che riportano alla mente, senza un apparente motivo, alcuni ricordi rimossi e che non aveva più senso rievocare.
Uno dei pregi maggiori de L’anno che a Roma fu due volte Natale, è il fatto che l’autore non va decifrato, Venturini non parla mai tra le righe. Intende dire esattamente ciò che si legge, il suo obiettivo, infatti, è quello di creare un ritratto fedele seppur a tratti bizzarro dell’esistenza umana e della sua essenza, fatta di debolezze, aspettative malriposte, ipotetici successi poi rovinosamente fallimentari. Tentando di ricreare una realtà veritiera, senza maschere, più umana.
Venturini, con uno stile tutto suo, dirama il messaggio che la verità alberga tra gli asfalti di periferia e i retrobottega maleodoranti nei quali spesso si consumano canne e scazzottate, dando risalto e dignità a personaggi che troppo spesso, non solo nelle opere di fantasia ma, soprattutto nella realtà quotidiana, vengono ignorati e relegati ai margini poiché considerati indegni. Simbolo di questa decadenza quasi affascinante è il bar di Vanda, a Torvaianica. Un luogo a tratti onirico, a tratti estremamente e drammaticamente reale, un posto che ora è solo una copia sbiadita e deformata della località turistica frequentata dai vip, un luogo che oggi, nelle parole di Venturini appare come una landa desolata, popolata da reietti che vivono ai margini della società. Uomini come Carlo, che passa le serate al bar in compagnia di prostitute, alle quali confida i propri problemi ma non il proprio rimorso per la morte di Mario, marito di Alfreda e padre di Marco, e Er Donna, transessuale sui generis con un passato di prostituzione, che condivide con Alfreda il dolore per la perdita della persona amata.

Al suo interno, L’anno che a Roma fu due volte Natale include vari generi, spiccano quello del teatro, del cinema e, persino quello della pubblicità. È pieno zeppo di citazioni che fanno parte del nostro immaginario comune, in particolar modo del nostro immaginario naziolnalpopolare.
La narrazione avviene sempre sul piano del presente e il lettore viene trascinato attraverso dei piccoli e angusti tunnel nel tempo anteriore. Gallerie scavate dalle vite dei personaggi che hanno il compito di restituire lo sfondo storico e sociale di Torvaianica dal Dopoguerra ad oggi.
I fatti si svolgono in una realtà che ha una tensione utopica e surreale, una realtà dove l’impossibile diventa possibile: lo dimostra il fatto che il Natale accade due volte nello stesso anno solare e sul mare cade la neve, evento che donerà il titolo al romanzo, come metafora del fatto che tutto può succedere.
La voce narrante cammina con i protagonisti, li accompagna in questo viaggio, condividendo con loro preoccupazioni, obiettivi, linguaggio e immaginario collettivo. I dialoghi sono sputati fuori in un dialetto crudo e mai edulcorato, le riflessioni sono schiette e disilluse. Vi è un flusso continuo di immagini e rimandi alla cultura pop, dai film di Verdone ai i classici Disney, da Pulp Fiction e Patty Pravo. Il risultato è un caotico e vibrante quadro della contemporaneità.
L’anno che a Roma fu due volte Natale è un racconto amaro, puntellato di momenti surreali e battute fulminanti, nella più sincera tradizione della commedia all’italiana. E Venturini dimostra di saper giocare su questo campo difficile, usando un linguaggio avvolgente, che gioca con l’alto e il basso, regalando emozioni sorprendenti. Da bravo romano, Venturini padroneggia il proprio dialetto che è lo stesso che condivide con i propri personaggi, rendendone la caratterizzazione, se possibile, ancora più reale.
Nel complesso, lo stile personalissimo di Roberto Venturini, forse più di una trama surreale e sospesa, rendono L’Anno che a Roma Fu Due Volte Natale una delle proposte più interessanti fra gli ex candidati al Premio Strega 2021. Mi è dispiaciuto non vederlo figurare tra i cinque finalisti. Faccio comunque un grosso in bocca al lupo all’autore che merita tanto.
Stile: 8/10
Contenuto: 8/10
Piacevolezza: 8/10
Voto complessivo: 8/10.
Buona Lettura!
Consu